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l’eccellente vino bianco, mandato su dalla contessa per berla tutta insieme nei bicchieri piccoli.

— Signor Fornari — chiamò con voce secca la principessa dalla finestra, sorprendendolo, mentre pizzicava scherzosamente il collo alla ragazza.

Egli invece di uscire corse all’inferriata.

— Che cos’è, principessa? — e mise le mani presso le sue nel medesimo ferro.

Egli stesso aveva il volto rosso, caldo; il principe Giulio e la contessa Ghigi volgevano loro in quel momento le spalle. La principessa sentì la voluttà di quel bel viso giovane.

— Perchè non esce sull’aia? — gli domandò con sussiego forzato dandogli del lei per la prima volta, mentre si erano trattati sino allora col voi francese.

— Siete voi che lo desiderate? — l’altro replicò appressandole maggiormente il volto al volto. Nella cucina si era fatto un silenzio improvviso; la ragazza si volse di sbieco.

— Vedete, principessa, avete fatto loro paura: venite dentro.

Ella ebbe una smorfia di ripugnanza, Lelio si staccò dalla finestra freddamente.

— Se voi amate le serve, a me non piacciono i servitori.

Un lampo di collera si accese negli occhi neri di Lelio, ma seppe frenarsi, e senza nemmeno rispondere tornò al focolare presso la ragazza.

Il pranzo parve anche più squisito in quella cameruccia dalle pareti scalcinate, a travi sudice, su quella tavola un po’ zoppa, che la balia aveva coperta colla propria migliore biancheria; ma le posate erano rugginose, perchè il cuoco aveva dimenticata a casa la sporta delle argenterie.