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avrebbero domandato che di soccombere. Poi erano altre novelle di corteggiatori trascinati fino all’orlo della felicità e beffardamente respinti, o accettati con un capriccio da sultana per rigettarli poco dopo ancora più ammalati di quel sogno di amore, e vanamente indiscreti nelle rivelazioni di un segreto, che la gente fingeva per invidia di non voler credere. Ella passava dovunque altera, soventi un po’ sciatta nelle vesti e nei modi, col suo portamento inimitabile, accendendo tratto tratto nei propri occhi verdi delle fiamme fatue, colla larga bocca socchiusa sui grandi denti bianchi, e il nasino corto, rialzato leggermente, che le faceva un musetto adorabile di perversità. Ma non era robusta. Malgrado l’ampiezza del petto e la snella elasticità di tutta la persona, ogni tanto compariva pallida, di un giallore ambrato sotto il bruno della pelle cogli occhi languidi un sorriso indolorito sulle labbra: allora i suoi capelli pettinati quasi sempre a madonna le davano un’aria anche più strana: pareva una graziosa bestiolina ammalata uno di quegli animali sacri ed infelici che le antiche religioni prodigavano nelle decorazioni dei templi.

Era quella la sua grande originalità, l’agguato, nel quale prendeva anche i più scettici, lasciandosi sfuggire parole amare di melanconia, tutto un rimpianto di vita ideale, che nessuna ebbrezza d’amore o di vanità avrebbe mai potuto consolare. Quindi molti combattevano per lei attribuendo gli scandali delle sue relazioni alla sincerità temeraria del suo carattere, giacchè si era sempre mostrata più che tenera del marito. Le sue stesse abitudini religiose sembravano contraddire all’immoralità dei suoi capricci.

La si vedeva spesso di buon mattino, modestamente vestita, col viso ancora gonfio di sonno, an-