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parlava dell’ultima crisi ministeriale così incostituzionalmente risolta dal presidente Agostino Depretis; il prefetto andava guardingo, mentre l’altro ripeteva con una certa enfasi i soliti luoghi comuni dei giornali.

Egli si mescolò alla conversazione. Più colto e perspicace d’entrambi si mise a difendere Depretis, disegnando un po’ confusamente la sua complessa figura di vecchio parlamentare. Naturalmente la discussione si rinfocolò, ma egli otteneva così di trattenerli finchè ripassasse tutto quel gruppo di signore colla principessa, e allora il prefetto le avrebbe indubbiamente fermate fornendo al maestro Armandi un momento opportuno per la presentazione.

Poi non gli spiaceva di farsi vedere da lei in tale compagnia semi-diplomatica. Quindi il suo spirito aizzato trovò qualche paradosso originale: Agostino Depretis, così profondamente scettico dopo essere stato così caldo rivoluzionario, era la più viva espressione del momento politico in Italia.

— Chi può credere adesso fra l’epopea, che si dissolve, e la commedia, che riannoda la vita suscitata dall’epopea? È l’ora dei volteggiatori politici: la sinistra arrivata al potere ne impara le difficoltà tradendo tutto il proprio programma. Agostino Depretis è forse ancora il solo fra tutti quelli che gli mutano intorno, il quale conservi alto il sentimento della grandezza nazionale.

— Egli inizia una nuova êra di corruzione — proruppe il deputato.

— L’avrà dominata.

— È certamente un uomo superiore — replicò il prefetto contento dell’aiuto imprevedibile, che gli veniva dal giovane romanziere. — Ah! ecco un gruppo di signore.

Infatti la principessa si avanzava prima fra il