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la agonizzava fumando: egli era triste, colla testa affondata melanconicamente nel cuscino, quando gli parve d’intendere un fruscio di seta. Qualcuno era entrato. Era una bella fanciulla dal viso pallido, vestita con rara eleganza, che si dirigeva sorridendo verso la vecchia signora: questa discese dal quadro e le gettò amorosamente le braccia al collo. Poi avevano parlato. In quel momento la vecchia signora sembrava ringiovanita; i suoi occhi grigi brillavano di bontà, la piuma bianca della sua fronte tremava come del sorriso della sua bocca, ma egli non poteva più ricordarsi le loro parole; solamente gli rimaneva il ricordo confuso di un riconoscimento, qualche cosa di drammatico fra le due donne che si ritrovavano finalmente dopo parecchi secoli di assenza. La bella fanciulla era anche più commossa; i magnifici capelli biondi le si scuotevano fra un nimbo dorato sopra la fronte di un pallore meraviglioso. Egli nascosto sotto le coperte cercava di farsi più piccolo per non essere veduto, tendendo l’orecchio ad ogni accento con una angoscia di curiosità che gli acuiva orribilmente le sofferenze della fame. Poi la ragazza uscì senza guardarlo ed egli vide daccapo la vecchia signora immobile nel proprio ritratto. Che cosa si erano detto? La fanciulla era una sua discendente? Perchè era entrata in quella notte, sola ed elegante, per uscire così presto? E a poco a poco credette di indovinarlo. Quella fanciulla nobile e ricca era sola come lui; una mestizia desolata, quell’abbandono inconsolabile degli orfani come lui, senza amore nel passato e senza alcuno da amare nel presente, l’avevano spinta fuori del proprio palazzo in cerca di una mamma o di una nonna alla quale confidare la tristezza del proprio cuore. Infatti qualche cosa rischiarava adesso la fisonomia della vecchia signora