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IL RITRATTO


Il palazzo era del quattrocento, bruno e solenne. Aveva i finestroni a grandi vetri riparati da tendine bianche e il portone fiancheggiato da pilastri colla catena: pareva quasi nuovo nella facciata, quasi vecchio nel cortile e nell’andito su per tutto lo scalone. La statua che ne coronava il primo plinto, mancava del braccio dritto, il sole del lucernario orlato di uno zodiaco dorato si era spento chissà da quanti anni, e i suoi ultimi raggi caduti per lo scalone erano stati forse spazzati in qualche mattina fra i calcinacci dalla scopa del portiere.

Il sarto che adesso ne disimpegnava la funzione, senza livrea e senza spada, senza mazza e senza cappellone, ignorava egli pure la storia della famiglia, dalla quale quattro secoli or sono era stato costrutto questo magnifico edifizio, ancora fortezza al pianterreno, ma avendo già del palazzo al primo piano, coll’atrio senza colonne e lo scalone pieno di statue. Il suo ultimo rappresentante, volontario fra gli eserciti del primo Napoleone, era morto nella ritirata di Mosca, ignoto ghibellino dietro la fortuna dell’ultimo Cesare.

D’allora il palazzo aveva mutato parecchi padroni conservando sempre il proprio nome: era sta-