Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/254


polcro, per dare una data antica alle nostre scoperte di ogni giorno e una autorità millenaria ai nostri sogni di una notte. Una biblioteca è un cimitero — ripetè l’illustre critico abbassando la voce.

La bella duchessa lo scrutò con occhio benevolo e soggiunse sorridendo:

— Mi avete detto altre volte che dobbiamo ai frati le prime biblioteche: la prima delle ultime si è aperta ieri, la — Vittorio Emanuele». Non vi è mai sembrato che le vecchie biblioteche sentano fin troppo il convento? Ne ho visitate poche, ma ne ho sempre ricevuto la stessa impressione: che scaffali poveri e gelidi, che panche da chiesa o da refettorio! In fondo a tutte un tavolone con una lucerna sepolcrale pendente dal soffitto. Generalmente erano costrutte a navata. Gli uomini, che vi studiavano, dovevano essere penitenti, i libri di autori morti, tutte le opere un testamento. D’estate vi si sentiva un freddo d’inverno, d’inverno vi si sarà gelato addirittura. Una volta, sola con un domenicano, calvo e terribile, udendo il pavimento echeggiare sotto il mio passo leggero di donna gli domandai se v’erano sotto le prigioni.

— E vi rispose?

— Sorridendo che v’era la cantina. Ebbene abbiamo ragione noi moderni di volere allegri i cimiteri e le biblioteche.

— Forse! ma saranno senza monumenti.

— Accettereste per caso la formula di Victor Hugo, il libro ha ucciso il monumento mentre — ella aggiunse con sardonico sorriso — i nostri municipi non fanno che smentirla tutti i giorni? Oramai mancano le piazze per le statue.

— La formula di Victor Hugo è terribile quanto giusta, ma sciaguratamente ce n’è un’altra più terribile, che egli forse non ha presentito: se il li-