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fanale; l’interno non si discerneva, le ruote arrivavano ai vetri.

— Vuoi salire? — ripetè per la terza volta. La sua faccia irriconoscibile nella ombra ebbe come un bagliore di maiolica.

— No.

Uno schiocco di frusta vibrò, i cavalli spiccarono un salto e l’omnibus rotolò fragorosamente. Egli si rivolse e lo vide scomparire poco dopo a destra, per la seconda svolta, verso la campagna.

La notte non si era accorta di nulla. Egli proseguì, l’aria era sempre così tiepida, il buio così profondo. Poi tutta quell’apparizione, i tre cavalli apocalittici, l’omnibus, i fanali rossi che lucevano come una fiamma e guardavano come due occhi, il cocchiere quasi invisibile, il suo invito strano, tutto gli sparve colla medesima prontezza dallo sguardo e dal pensiero. In fondo al viale piegò a sinistra verso il sobborgo San Sebastiano, il più ricco e popoloso della città. I fanali erano ancora accesi, molta gente in giro. Un lungo fremito passava per la notte, il murmure lontano del fiume pareva un gemito di ferito. D’improvviso due colonne bianche balenarono sul margine della strada: la villa nascosta dagli alberi non si distingueva, ma un filo di luce passava per l’ultima finestra al primo piano.

Aperse la porta colla chiave, salì le scale coperte da un tappeto così grosso che soffocava ogni rumore di passi, e sempre al buio infilò l’appartamento. Un violento profumo di fiori gli battè sul viso. L’appartamento era piccolo, dall’ultimo uscio socchiuso sboccava un’onda di luce. Egli lo spinse insensibilmente e si arrestò.

Il gabinetto giallo, poco più grande di una tenda, era illuminato da un lampadario di bronzo dorato carico di candele trasparenti: un enorme spec-