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L’OMNIBUS


La notte era fosca.

Il viale di circonvallazione coperto dai vecchi platani sembrava alla scarsa luce dell’unico fanale presso la barriera come un lungo andito che si perdesse nell’ombra. L’aria era umida, la tenebra così fitta che le mura stesse della città vi erano scomparse. Solo una stella laggiù, lontano, aveva un bagliore misterioso di lucerna sospesa nell’infinito.

Egli proseguì lentamente. Una tristezza vasta e silenziosa come quella tenebra era penetrata nella sua anima, occupandone tutto il deserto. Nessun ricordo gli vigilava più nella memoria, non una idea gli attraversava la coscienza. Era solo. Il suo passo strideva sulla ghiaia minuta del viale come un lamento. L’ombra e il silenzio si dilatavano nella notte.

Egli alzò macchinalmente gli occhi ed incontrando lo sguardo morente di quella stella trasalì. Laggiù c’era dunque un altro che naufragava nelle tenebre.

E d’improvviso credette di udire un rotolare sordo ed insieme fragoroso che s’inoltrasse: l’ombra rimaneva immobile, la terra tremava. Egli attese;