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— Chi?
— Dio — e tacque; poi facendo uno sforzo per voltarsi a guardare in faccia l’arciprete, gli mostrò la medaglia.
— Scommettiamo: io prendo testa, voi lettera.
— Disgraziato! — gridò il prete, offeso nella propria fede da quello che egli prendeva per uno scherzo brutale.
— Avete paura di perdere; scommettiamo: non c’è.
— Dio?!
— Testa... — chiamò l’infermo gettando la medaglia in mezzo alla stanza, e piegò subitamente il capo.
Rantolava: il prete si voltò al tintinnìo della medaglia, ma attratto dal rantolo del morente non potè raccoglierla. Il conte moriva, aveva gli occhi vitrei, un filo di bava sulla bocca. A un tratto, mentre il prete suo malgrado agitato da quella suprema scommessa stentava a trovare le parole rituali per raccomandargli l’anima, il vecchio sbarrò gli occhi: parve voler parlare.
— Raccomandatevi a Dio!
La testa ricadde, era morto. Il prete si chinò atterrito per vedere se respirava ancora, ma sentendolo già freddo provò un brivido alla schiena. Allora confuso, quasi palpitante in un dubbio che non avrebbe voluto sentire, andò a raccogliere la medaglia: era dentro un crepaccio del pavimento. Così al buio non si discerneva da che parte fosse voltata. Si abbassò.
— Testa!
Il conte aveva vinto l’ultima scommessa.