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due sentivano che i discorsi fatti sino allora non erano stati che divagazioni.

— Per la religione del suo nome: essa è ancora il più grande ostacolo al progresso umano colla viltà dei dogmi e l’ipocrisia delle speranze. Il Dio di Cristo crea l’uomo, certamente per l’uomo e non per sè stesso, e nullameno per un primo peccato condanna tutta la sua discendenza: è una fola, lo so, ma questa fola rende ancora timida l’umanità. Cristo si proclama suo figlio, e viene a morire con noi per redimerci dalle conseguenze di questo peccato: dove? — In un altro mondo; e allora a che prò discendere in questo? E la speranza, di quell’altro mondo, che conserva tutte le ingiustizie nel nostro. Se la vita è un pellegrinaggio, perchè preoccuparci della strada? Basta la mèta, molto più che il viaggio è brevissimo. Il mondo invece deve inventare una stazione.

— Nell’infinito. Arrestati, se puoi, tu che parli di stazioni: il tuo giorno è un baleno fra due ombre, la tua vita è una corsa fra due mète: hai Dio dietro e Dio davanti. Arrestati: in nessun momento della tua esistenza terrena sei pari a te stesso, solo nella tua anima immortale sta la tua identità. Atteggia, combina il mondo come ti piace, non sarà bello perchè potrà guastarsi, non sarà giusto perchè tu condanni il presente, e non puoi mutare il passato. Se tu vuoi la felicità degli uomini vivi, perchè non la pretendi anche pei morti? Il loro antico dolore non basterebbe dunque a turbare la tua gioia nel nuovo assetto sociale? Tu, che accusi d’ingiustizia l’elezione del popolo ebreo fra tutti i popoli, vorresti eleggere alla beatitudine una generazione e le generazioni di essa contro tutto il numero delle altre: pretendi la felicità, e fuggi dinanzi al problema del dolore! Perchè l’uomo sof-