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e Giove non superano le proporzioni di due eroi, e l’Olimpo non è più alto del Caucaso. Cristo nell’arte non può apparire che solo, figura umana, dalla quale traspare lo spirito divino, nè uomo, nè donna alla fisonomia, di una bellezza vera e non reale, come lo rappresentarono i grandi pittori antichi. Guarda i loro crocifissi: il corpo non spenzola come dovrebbe dalla croce, lo spasimo della sua faccia è ineffabile, ma non vi si sente alcuna fitta corporea, il suo dolore è divino e ha atteggiato di sè stesso la bellezza del volto. Oggi credono di fare del realismo dipingendo un uomo crocifisso: la verità è nell’altro, il Crocifisso.

— La poesia è fede — esclamò l’abate: — tu sei vicino ad accoglierla.

— No — interruppe Tarlatti, — la più grande poesia è nel dubbio: ecco perchè ho amato la figura di Cristo. Tu no, abate, non puoi rileggerle perchè hai la seconda vista dei mistici; ma voi altri pigliate ancora una volta le sue parabole, allineate le sue risposte. Vi è in tutte una mestizia irresistibile, una ironia sottile, che Renan solo ha saputo cogliere. Il dubbio trema nell’anima del Messia: attraverso i racconti ingenuamente impossibili degli evangelisti si comprende che il suo dubbio tocca gli altri, giacchè nemmeno i suoi miracoli più stupefacenti, come quello di Lazzaro, bastano a persuadere coloro stessi che vi assistono. All’altezza, cui è salito, la vista gli vacilla: il mondo troppo grande anche pel suo occhio di veggente sarà sempre più antico (e più vasto di qualunque opera, e la sua redenzione trionfandovi non avrà redento che pochi. Allora, il redentore preso nella vertigine della propria illusione prova nel freddo della caduta i primi brividi del nulla. Ecco il dramma di Cristo, l’impossibilità di credersi Dio e di farlo credere prima