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— Se l’arcivescovo di Napoli avesse saputo tacere, questo Cristo alla festa di Purim non lo si sarebbe rappresentato come non lo si era letto.
— Oh — ribattè l’abate — tutto ciò che tocca Cristo diventa importante. La chiesa ha creduto di opporsi a questa opera di Bovio certo non per quello che vale, ma per quello che significa.
— Forse hai ragione — disse Tarlatti.
— Riassumiamo prima — si ostinò daccapo Mattioli. — Che cosa c’è in questo Cristo di Bovio? Cristo no, Giuda nemmeno, ma tre donne, una ètera di Grecia, la cortigiana di Magdala, l’adultera di Gerusalemme: una triade femminile, dentro la quale avrebbe dovuto mostrarci l’idea di Cristo. La prima non è già più una ètèra per il semplice fatto di sentire anche da lungi la sua presenza, la seconda diventa una pitonessa per avergli parlato, la terza si salva dalla lapidazione per aver ottenuto senza nemmeno chiederla una sua risposta. Null’altro. Cristo che chiama Aristotile il filosofo di Stagira è dà del tumido Uticènse a Catone, dell’iracondo a Cassio, della mezza mente a Giuda, mandandolo a pensare la verità messianica nel deserto perchè la larghezza dello spazio gli suggerisca quello che la lunghezza dei secoli dovrà rivelare: e che passa sulla terra unicamente per risolvervi un caso di adulterio come un pretore... tale Cristo è davvero la più sconoscente ingiuria proferita contro di lui in questo secolo, che dopo avergli conteso la divinità gli ha negato perfino l’esistenza. Mai più vacua corpulenza di pensiero si sgonfiò in più informi sembianze di arte, e più inetta soggettività di autore, si atteggiò drammaticamente per falsare figure ed ambiente, idea e linguaggio...
— Perchè perdi in questo momento tu stesso la misura?