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tro la coccia della legge mosaica. L’Ebraismo vivente tuttora, sopravvissuto alle tragedie di una migrazione millenaria attraverso tutti i popoli, infrangibile come un atomo in ognuna delle sue più piccole stazioni era ancora in Gerusalemme una idea più compatta che non il gius quiritario a Roma. Ed eccola prima scena del dramma di Cristo che, detronizzando Iehova coll’adottarlo per padre, sostituiva al dualismo del popolo eletto coi popoli gentili, assurda ed atroce primogenitura, l’universalità dell’uomo pari all’unità divina.
L’abate si lasciò sfuggire un gesto.
— Non interrompere, ho bisogno di dir tutto, subito, per non confondermi. Non discuto che il dramma di Bovio, io sono un artista: tu, Tarlatti, che sei un filosofo scettico: tu, abate, che sei un mistico: tu, Osnaghi, che sei un poeta: tu, Tebaldi, che sei un socialista, discuterete l’idea. Che importa una idea nell’arte, se non vi crea una figura? L’arte è vita. Bovio aveva trovato l’opposizione drammatica, Cristo e Giuda, l’eroe e il traditore, questa necessità di tutte le tragedie, questo segreto di tutte le catastrofi, dalle quali si sprigiona una idea. Ma che cosa diventa Giuda nella scena di Bovio? Un patriota in ritardo, che congiura in piazza fra due legionari romani e una etèra greca, i quali parlano come lui, tutti in un modo, a concetti aforistici, con formule liriche; non personaggi bensì maschere, dalle quali soffiano il pensiero e le parole di Bovio, come purtroppo le prodiga da anni nei libri e nei discorsi; seicentismi di pensieri e di parole in un’asma di stile, entro i vuoti del quale molti operai ed alcuni studenti cercano indarno la profondità. Vi è del sonnambulo e del ventriloquo in quell’uomo. La scena — si rivolse all’abate — giacchè bisogna ripensarla tutta per discuterla, si