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La coperta doveva essere nell’ultimo cassetto del comò. Chissà che cosa Prudenza direbbe di questa sorpresa: era l’ultimo scherzo, egli ne rideva e ne sorrideva. Colla mano già leggermente tremula tirò il cassetto e cercò la coperta: era ravvoltolata in quattro fazzoletti rossi di cotone ancora tutti di un pezzo.

Ma s’interruppe, perchè quella doveva essere l’ultima cosa: prima bisognava portare il canterano in mezzo alla camera e sostituirlo col comò. Vi si accinse. Siccome tutte le biancherie grevi da tavola e da letto erano nell’armadione, il canterano non pesava troppo. Lo scostò d’ambo i lati, e lo piegava già verso la colonna ai piedi del letto, quando intese cadere qualche cosa lungo il muro con un suono secco di carta. Nel timore di aver commesso qualche malanno corse a prendere la candela e, curvandosi sino ad inginocchiarsi, cercò: era un piccolo pacco. Per istinto, prima ancora di formare un pensiero, ricollocò con due spintoni il canterano a posto e tornò al camino: quindi cercò gli occhiali.

La prima era una lettera indirizzata a Prudenza; disciolse il plico, lo aperse a ventaglio: tutte le lettere andavano a Prudenza. Che cosa erano? Egli non ne sapeva niente; sulle prime si vergognò, erano forse lettere di famiglia, pettegolezzi che essa gli aveva nascosti con bontà di sposa, forse di gente già morta. Istantaneamente gli venne quasi fatto di gettarle sul fuoco per ritornare al canterano, ma la curiosità aguzzata dalla solitudine lo punse più profondamente, e ne aperse una. Alla prima parola impallidì, la lettera incominciava:

«Angelo mio!

Il nostro bambino sta dunque bene...».