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rale evangelica in bocca di una figlia morente, come consolerebbe di più il sentirla piangere nel dolore dell’abbandono che il vederla rassegnata alla necessità della partenza!

Il desiderio dell’ammalata fu esaudito: la primavera è tornata battendo con le foglie delle pianticelle rampicanti ai vetri della sua finestra. Perchè mai questa vergine, che non ha amato il mondo, questa tisica che sta per abbandonarlo con gioia, si perde ad analizzarne con arte sì fina e talvolta con particolari così dotti tutte le loro bellezze alla madre? O fu un capriccio d’inferma, o è stato un difetto nel poeta. L’agonia si avvicina: il prete è uscito dopo aver benedetto la morente, mamma e figlia sono sole. Il canto del finale incomincia con un canto sacro; gli angeli sono passati a volo pel cielo suonando le arpe; Regina le ha sentite due volte, alla terza morirà. Un angelo librato nel vano della finestra, lontano, nell’azzurro, la chiama.

— Addio sorella, addio mamma!

La ragazza spirando rivela il proprio segreto di vergine, quindi il sogno di paradiso le ricomincia nell’anima, e in quel sogno s’addormenta.

Ecco la figura messa da Tennyson dinanzi ai propri idilli come quella che più altamente esprime la sua poesia idilliaca. Il paesaggio è inglese, colori freddi, aria umida, vegetazione rigogliosa. Una agricoltura sapiente ha migliorato ogni pianta: case, mulini, castelli, tutto a posto, il quadro pare il paese, ma il paese pare un quadro. La regina muore: che cosa farebbe nella vita? Diventerebbe prima sposa, poi madre, poi massaia: addio quindi poesia, perchè tutta la poesia consiste nella verginità, primo grado dell’angelo. Invano parla sempre di fiori e li conosce, ne sa persino i nomi difficili: