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il suo invito lo ha prevenuto come l’altro giorno egli sorpassò il bel Filino alla corsa. Naturalmente cita il più bello fra i propri amici per provarle che non teme confronti. E Simetha gli dà ragione. Per le Delfi non è l’elegante antipatico di tutte le decadenze, ma il Delfi bello, dal petto largo, dalle membra agili, il vincitore della palestra. Simetha non ha torto. Oggi ancora le donne, che si avvicinano al suo modo di sentire, sono forse anche meno esigenti, non pretendono neppure che Delfi sia bello. Ma come tutte le persone troppo amate, Delfi non ama; in pochi giorni si stanca di Simetha e la trascura; ella trema, piange, finchè apprende da un’amica che Delfi è innamorato altrove, s’ignora se di un uomo o di una donna. Simetha stessa non lo ricerca: che le importa il nome? Ella non è gelosa, giacchè la gelosia discende quasi sempre dalla testa mentre ella ama coi sensi: esige Delfi, ma trova forse naturale che altri lo desideri, solamente non vorrebbe perderlo. In questo ultimo caso giura piuttosto di ucciderlo, ma anche allora non si preoccupa della rivale. Simetha ama troppo Delfi per odiare un altro.

Giammai vi fu idillio più povero e più bello; oggi dopo tanto mutamento di età noi lo sentiamo ancora, noi che non possiamo più scriverlo e, quello che è peggio, rifarlo. Teocrito ha messo l’elegia, fors’anche la tragedia, in fondo all’idillio giacchè Simetha può bene ammazzare Delfi in un incontro, a certe ore, in date circostanze. Tennyson ha fatto altrettanto, ma invece di Delfi è la regina che morirà: idillio, elegia e tragedia si seguono formando un solo componimento. Là un fatto che rivive in un racconto, qua un soliloquio nel quale si perde un fatto; Teocrito ha scolpito un gruppo, Tennyson fuso una statua; il gruppo è molto nudo, la statua