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scire quando il contatto del romanticismo e le false abitudini del teatro la viziarono così che nello stesso capolavoro immortale di Bellini, malgrado la freschezza dell’ispirazione e la grazia delle movenze, manca troppo spesso la semplicità.
Finalmente l’idillio passò in Inghilterra, e là, dentro una letteratura, nella quale si era sempre notato il predominio di quanto oggi chiamasi con brutta parola realismo, si disse che Tennyson era risorto. Infatti a prima vista tutte le condizioni vi sembravano riunite. Un popolo coltissimo e non ancora in decadimento, abbastanza ricco per avere il gusto e l’abitudine della campagna, con un sentimento schietto della vita e una predisposizione alla malinconia corretta dalla fortezza della tempra. La sua campagna era feracissima, la sua religione quasi ragionevole, la sua filosofia poco teoretica, la sua poesia semplice per indole per tradizione.
Tennyson stesso non poteva essere meglio dotato dalla natura ed esercitato nello studio.
Ma il ferreo carattere inglese diventato di acciaio al fuoco della grande rivoluzione puritana, si era ancora più indurito nel lungo e fortunato esercizio commerciale: la religione agghiacciatasi dopo il trionfo aveva come coagulato il sentimento del popolo, il classicismo rimasto nelle lettere e nei costumi malgrado l’influenza di Byron e di Shelley irrigidiva ancora il gusto dell’aristocrazia. In Inghilterra più che altrove il concetto della vita e dell’amore erano in antitesi coll’idillio, L’agricoltura vi ha ridotto il podere come una fabbrica cogli stessi operai, le stesse macchine, la stessa speculazione crudele e trionfante: la bigotteria protestante, molto peggiore della cattolica, aiutata dall’indole del popolo e dalla sua storia vi ha costretto l’arte ad un ufficio puramente morale; quindi negate tut-