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to si trovò rapporto alle cose in quella condizione di mezza verità, la più favorevole alla immaginazione, come ha scritto un grande critico; la quale può egualmente insistere e sfuggire, stringere da presso la realtà e allontanarsene, cogliere il particolare e la prospettiva.

Dopo lui e il suo tempo, l’idillio scomparve, i romani n’ebbero uno degnissimo sebbene diverso nelle Georgiche, essi che avevano sentito l’agricoltura con la stessa tenace serietà della guerra e della politica.

Finalmente venne il cristianesimo e l’idillio inadatto all’anima di Roma diventò impossibile nel pensiero umano. Il concetto pessimista del mondo, che costituiva il fondo della nuova religione, dava necessariamente un altro aspetto alla natura e un altro significato alla vita; poi l’impero rovinante, il profondo avvilimento di una civiltà, che si sentiva esaurita e si presentiva distrutta mentre i barbari ruggivano a tutte le frontiere: l’esistenza ridotta un’orgia pei pagani fisi all’Olimpo e un’espiazione pei cristiani intenti nel Golgota; la terra abbandonata dalle antiche divinità e non ripopolata dalle nuove; il dubbio rimasto ultima affermazione di quanti pensavano ancora, l’indifferenza suprema virtù di coloro che resistevano tuttavia, il martirio estremo eroismo di quelli che ricominciavano a credere. Poi i barbari irruppero, l’impero sprofondò, la civiltà si spense, e sul suo cadavere morto di vecchiaia la natura non intese per molto tempo che canti di salmi e singulti di pianto.

Un grande spostamento aveva avuto luogo; nel mondo antico il tempio era all’aperto, di marmo bianco, giocondo come una terma, mentre l’Eliso stava nel centro della terra, freddo e scuro come un