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teatro del mondo! Zola stesso, l’implacabile pessimista, ha dovuto mettere davanti al proprio freddo ed enorme edificio borghese l’agreste e pietosa sembianza di Miette, figurina idilliaca, che nella storia dell’Idillio viene così a trovarsi fra la Simetha di Teocrito e la Regina di Tennyson, ingenua come la prima, devota a morte come la seconda. Ma fra queste due donne, fra Teocrito e Tennyson, non sono passati invano circa duemila anni.

Certo non tutte le epoche, e nemmeno forse tutti i popoli, possono produrre l’Idillio, quale apparve in Grecia, e da quella apparizione è rimasto nel nostro spirito. I romani, che derivarono dai greci tutte le arti e delle arti si applicarono tenacemente a tutti i generi, nel presentimento di una difficoltà insuperabile parvero affidare quest’ultima prova al loro poeta più dotto nella mano e squisito nel temperamento. La dura fibra romana non si piegò, Virgilio fece miracoli di artificio, ma la vittoria dell’arte rimase a Teocrito.

Nato in Sicilia, dentro il mare più bello, sotto il cielo più puro, in una isola nella quale la casa può essere un lusso e il vestito una decorazione: dove l’incanto della natura impone l’ozio, e il canto come linguaggio naturale dell’ozio può facilmente diventarne la sola preoccupazione, Teocrito si trovò sulla scena più adatta alla propria poesia. Intorno a lui la pastorizia durava da secoli e dura ancora ai nostri giorni, l’agricoltura non aveva maggior fatica del raccogliere, e la facilità del clima vi produceva colla condiscendenza nella vita il suo oblio.

Una moltitudine di barche dalle vele multicolori le facevano cintura: era libera come uno scoglio e potente come un regno, ferace quanto una pianura e poetica come tutte le montagne. Cornice, quadro, personaggi, tutto era pronto; l’epo-