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che siano l’uno la cessazione dell’altro, poi due gradi di una stessa sensazione. Vundtz e Lotze, vedete che sono bene informata, me lo diceva ieri il professore Tommasi-Crudeli, presso a poco sostengono questa tesi: ma vi è una obbiezione. Se il dolore deriva dalla vibrazione troppo violenta di un nervo, perchè una parola fa spesso più male di una pugnalata, e la frattura di una gamba è meno spasmodica talvolta di una rottura galante? Il dolore morale è dunque diverso dal dolore fisico? La fame crea l’accattonaggio, mentre la vergogna di aver fame produce sovente il suicidio. Perchè nella maggior parte dei casi noi affrontiamo il dolore per arrivare al piacere? Perdonate se io, donna, oso gettare con le mie mani lo scandaglio in certi abissi, ma la questione ci interessa tutti, grandi e piccoli, uomini e donne.
— Non vi farò che una obbiezione la più volgare ed insieme la più forte: se la vita è infelice, perchè tutti l’accettano?
— Perchè dimenticate voi i suicidi? Coloro che accettano, sperano, ecco tutto.
— La speranza deriva essa pure dalla vita: ma volete davvero una ragione irresistibile? – seguitò con evidente intenzione di sarcasmo guardandola negli occhi. – poichè ogni fenomeno è doppio, pigliate i due estremi della gamma, la generazione e la morte: la voluttà dell’una è più intensa del dolore dell’altra. Anzi, Leopardi, un pessimista che non potete rinnegare, sosteneva con ragione che la morte sola è senza dolore.
— Siete ben sicuri che in ogni fenomeno della vita il piacere sia maggiore del dolore?
— Il fatto della vita è per me, esaminatelo imparzialmente.