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folla, e che essa vi restituisce col suo gusto infantile delle cose rare.
— Per farmi il ritratto, ecco che disegnate una testa di fantasia.
— La vostra è appunto una testa fantastica. I vostri capelli troppo crespi per una signora sembrano aver conservato l’arsura dei grandi soli, ma non sono veramente belli che spettinati, mentre invece li bipartite a madonna con una violenza di contrasto, che dà al vostro volto una espressione beffarda di idealità. Avete gli occhi verdi, la bocca larga ed ardente, la pelle bruna, ombrata di peluria; il vostro sorriso è quasi sempre violento, la vostra voce invece è sottile e dolce come quella di un bambino. Nessuna delle altre signore è così: esse non sono più che piccole borghesi, di una educazione più corretta, ma di un gusto raramente fino. La loro bellezza, quando sono belle, è nota anticipatamente: è una riproduzione più o meno castigata dei modelli, che servirono così bene ai nostri grandi vecchi pittori di razza latina.
— Sono dunque una gitana?
— Nel corpo, ma avete tutto il mare negli occhi e...
— E?
— Ve lo dirò più tardi: voi non avete mai amato, non amerete mai.
— Nemmeno mia madre, nemmeno i miei figli, se ne avrò?
— Nemmeno.
— Mi concedete poco — ribattè sardonicamente.
— Nullameno vorreste amare — egli seguitò scrutandola con acutezza negli occhi. — I vostri capricci, costretti a storpiarsi per passare attraverso il piccolo mondo elegante delle vostre relazioni, vi