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Il vecchio si piegò:
— Siete russo, avete detto: comanda ancora lo czar a Pietroburgo?
— Per poco! — ribattè a denti stretti con un suono che parve di bramito.
— A Parigi che cosa c’è?
— La Repubblica.
— E prima?
— La Comune.
— Che cosa è? Che cosa ha fatto?
— La Comune — replicò l’altro con accento entusiasta — è l’uguaglianza di tutti nel lavoro e nella retribuzione.
— Ne parlavano anche prima di Napoleone: che cosa ha fatto?
— Ha abbattuto la sua colonna — rispose il giovane punto dal freddo di quella indifferenza.
Il vecchio non ebbe che un fremito.
— Nemmeno i vermi avranno rispettato il suo cadavere! L’Europa è dunque come egli l’ha lasciata. Napoleone solo poteva farne un impero; era la sua idea, noi l’abbiamo seguita dappertutto. Io aveva quindici anni quand’egli mi prese nel suo esercito, camminavo quasi nascosto nell’ombra della bandiera. Allora un sergente valeva un re! A Roma abbiamo battuto il papa, alle Piramidi abbiamo sconfitto Maometto, abbiamo trionfato dovunque: egli guardava, noi vincevamo. A Madrid, quando l’imperatore ha fatto scoperchiare la tomba di Carlo V, io ero lì: a Vienna ho visto l’imperatore Francesco seguire Napoleone col cappello in mano, a Berlino pigliammo la spada di Federico, da Mosca ci trasportammo dietro nella ritirata la grande croce d’Ivano il Terribile.
— E la perdeste.
— La buttammo in un lago, Napoleone buttava