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coperta di virgulti, pei quali coll’agilità della giovinezza non sarebbe stato molto difficile arrampicarsi; e davanti gli si apriva un bel pezzo di fiume asciutto. Santone andò innanzi.
— Vieni, è mezzo addormentata — gli sussurrò improvvisamente Viù sorgendogli di faccia ad una svolta: — Entra tu per il primo che sei il più forte: con te certo non la può.
— Non c’è nessun altro?
— No, io non sono nemmeno entrato: l’ho sentita dal di fuori nicchiare sul fieno.
— Lascia fare a me.
— Bada che ci siamo anche noi dopo — riprese Viù sogghignando.
— Diavolo!
— Ecco.
Toto e Viù si ritrassero, mentre Santone allungando due passi imboccava l’apertura del capanno.
— Ohè, Sghemba! — chiamò a mezza voce.
Un urlo soffocato fu la risposta, intanto che Toto e Viù sgattaiolavano su per la macchia, nella quale gli altri tre erano già fuggiti. Ma Viù si fermò: il rombo del fiume in quel momento gli parve spaventevole. Aspettò ansiosamente con Toto senza capire che cosa potesse accadere, giacchè Santone era sparito dentro al capanno ridendo all’urlo di Santina senza riconoscerla. S’intese un rumore sordo di lotta e la voce di Santone che disse:
— Va là, Sghemba, che non mi scappi.
— No, no — esclamò soffocatamente Toto alzandosi.
— Che fai?
— Vado via.
— Vigliacco! hai paura — rispose Viù con voce tremula.