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Nullameno s’inoltrarono. La corrente del fiume ingrossata dallo sciogliersi delle nevi rumoreggiava sordamente; si distingueva appena il vecchio ponte, e giù pel greto una casa perchè v’era lume ad una finestra. Dall’altro lato non si vedeva che buio. Viù fischiò ancora, poco dopo un’ombra gli si parò davanti.

— Sei tu, Sandro?

— Sì. Ah! lo hai saputo.

— Lo ha saputo anche Santone, almeno cerca Santina.

— Oramai è talmente ubbriaca che non ci riconosce più. Vieni.

— No, torno su per trattenere Santone; ma se mi sentite ancora a fischiare, scappate subito; vuol dire che egli viene giù. Lo conoscete! L’altro era rimasto interdetto. La voce di Viù, la sua premura, mentre tutti lo sapevano così pronto a godersi il male altrui, gli parevano sospette.

— Di’, vuoi mandarci via per restare tu con lei?

— La pigli così? Ti saluto.

— Aspetta.

Toto era perplesso, ma la soggezione verso Viù lo vinse anche questa volta; allora Sandro andò loro dietro per qualche passo, quindi concluse:

— Per me ne ho avuto già abbastanza.

— No, per Dio! — ribattè Viù — io torno subito. Se posso, imbroglio Santone e lo mando a cercare dal lato opposto, altrimenti calo anch’io con lui fischiando. Voialtri fuggite per il fiume: ma se veniamo soli io e Toto, ci divertiremo. Com’è, com’è Santina? — chiese mutando tono.

— Oh! è da ridere; spranga calci come una cavalla.

— Su, svelto, Toto!