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nel mezzo. La monferrina, intonata con una veemenza di fanfara sugli acuti più stridenti dell’organetto, si allentava ogni tanto nella scarica di quattro passi di polka per riprendere daccapo sopra un ritmo di una monotonia accorante, senza che alcuno se ne impressionasse. Invece si notavano già le bizzarrie del ballo: quelli che non pigliavano mai il tempo e galoppavano pettoruti, o curvi, o dinoccolati, con un braccio intorno alla cintura della donna nella goffaggine pesante di una carezza, che talvolta tentavano di compiere accostandole di più il volto, mentre ella si ritraeva con ripugnanza; altre coppie più strette, che si parlavano all’orecchio brancicandosi; parole ed atti lubrici scattavano come scintille fra il polverio, senza che nessuno di quei volti esprimesse una gioia. Tutti sembravano faticare, colle carni in sudore e la bocca semi aperta. Le donne, meno grevi degli uomini, si lasciavano trascinare guizzando talora negli scambietti della polka con subita agilità.

— A me! — gridò Viù cacciandosi fra Santone e Berta per portargliela via; e difatti vi riuscì col tagliare il circolo insinuandovisi poco più lungi fra le altre due coppie, mentre Santone rimasto nel mezzo fra lo scoppio di una risata generale si sentiva improvvisamente preso alle spalle. Era Cocca, la ballerina di Viù, che per non restare sola lo aveva abbracciato sospingendolo nuovamente al galoppo.

— Ih, ih! frusta, Cocca — si gridava da ogni parte: — tira di fianco come un cavallo da bilanciere.

Allo stesso momento Viù e Berta, nel passargli dinanzi colla leggerezza di due uccelli, sfiancavano daccapo per piroettare nel mezzo.

La piccola Berta sembrava scodinzolare dentro