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sorriso bonario contemplando i salti delle ombre nel muro opposto.

Dall’andito aperto nel fondo, dietro la scala, sopra la ripa del fiume, venivano tra il tanfo della fanghiglia lasciatavi da tutti quei piedi fetori umani più acuti, che non permettevano alcun dubbio sul come gl’inquilini della casa ed altri forse del paese, essendo quel portone sempre aperto anche di notte, usassero del cortiletto. Non v’era lume, ma giù dalla scala scendeva un filo di luce sottile come un ragnatelo, appena sufficiente per indicare per dove dall’andito si montasse alla sala. Alcuni calavano già le scale, benchè il galoppo non si fosse ancora arrestato.

La comitiva entrò.

Sopra il secondo pianerottolo quattro scalini mettevano alla sala, altri due invece scendevano in una specie di cucinetta, improvvisata a caffè, con due lunghe tavole da bettola e qualche cocoma sul focolare, ma era quasi vuota in quel momento. Il padrone, un gran pezzo di facchino dai capelli rossi, senza giacca e con un lercio mozzicone di pipa in bocca, raccolse il loro soldo a testa in un vecchio bacile di ferro, che tornò a posare sopra una sedia mezzo spagliata; più in alto, entro un pezzo di legno, era piantata una candela di sego.

— Avanti, avanti! — diceva con un gran gesto, ma vedendo Santone cercarsi in tasca i fiammiferi staccò gentilmente la candela dal muro.

Era impossibile entrare. In quel momento le coppie dei ballerini si precipitavano dall’uscio verso il caffè sudanti, trafelate; gli uomini trascinando a forza le donne, che sembravano non volervi accondiscendere per quella finta ripugnanza imposta loro dall’uso di dover sempre opporre un rifiuto prima di accettare un rinfresco, e rotolavano quasi