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per lui, se avesse potuto battere Mengo, uno fra i migliori stornellisti di Cignale, il paese più vicino di Toscana. Era ancora l’antica rivalità fra i due stati del duca Leopoldo e del Papa. Ci fu come un momento di ansia quando Rocco abbassò la testa per raccogliersi; dall’altro camerino scoppiò un’atroce bestemmia.
Fiore di brina,
Chi picchia donne suona una campana,
Chi spicca rose prenderà una spina.
— Toh! — uno ruggì.
— Oh Dio!
Il fracasso di un tavolo rovesciato, dal quale cadevano litri e bicchieri, arrestò l’applauso, che l’ultimo stornello di Rocco avrebbe provocato; la gente si precipitò per la porta, vi ebbero subito delle braccia alzate, delle urla, una colluttazione di molti contro un solo, il quale si vedeva a stento stretto fra la ressa, mentre Viù, il ragazzaccio gobbo, che tutti conoscevano così tristo, si era già tirato indietro livido come la cenere.
La gente lo interrogava.
— È stato lui... — cercò di rispondere malignamente, ma l’altro dando uno strattone fra le braccia che lo tenevano avvinghiato, alzò il coltello.
— Tu sei stato, maledetto! Volevi piantarmi questo nella pancia, ma te l’ho strappato di mano, e te lo caccio io dentro la gobba.
Un sogghigno perverso stirò le labbra del ragazzo, momentaneamente rassicurato da tutta quella folla, che ratteneva il suo avversario; già i pareri oscillavano. Toto e Ghino, compagni di Viù nella partita, cercarono di dare la colpa all’altro,