Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/126


sonno tranquillo; il nimbo dei suoi capelli aveva la luce dei soli più belli di maggio, mentre la bocca le faceva una piccola ombra sulla faccia. La morte doveva essere passata di lì suggellandogliela per sempre col proprio bacio. E Tecla non aveva parlato più, ma egli la comprendeva ancora: il suo volto esprimeva la calma di un riposo senza fine, in un sonno pieno di visioni come i santi ne avevano avuto talora prima di morire. Era morta? Lo sentiva ella in quel momento curvo su lei per darle tutto il proprio amore di fratello abbandonato? Non poteva ella rivivere in un miracolo come Dio ne aveva fatti tanti? Tutto era intatto in lei: basterebbe un pensiero di Dio a rianimarla, quel soffio spirato nel primo uomo uscito dalle sue mani di creatore. Si chinò lentamente, sfiorò di un bacio il cristallo sopra la fronte della morta, e ritraendosi colla massima cautela riabbassò il panno sino al basamento come prima. Allora si accorse di aver sciupati troppi fiori colle scarpe per giungere fino lì, ricalcò le proprie orme e tornò ad inginocchiarsi sui gradini della balaustra.

Il suo volto livido esprimeva una sofferenza convulsa nello sforzo di mantenersi alto verso l’immagine della Madonna; infatti non lo potè, e gli cadde poco dopo fra le palme delle mani. Intorno a lui i fiori odoravano acutamente, confondendo tutti i propri sospiri in un vapore invisibile, sempre più greve, che ondeggiava sul feretro sotto l’ombra cupa della navata, nel gran silenzio della chiesa. Si sarebbe detto che anche le fiamme delle torce ne provassero l’oppressione spezzandosi tratto tratto per risalire più rapide in un getto. Egli invece vi era immerso: alle sue ginocchia, ai suoi piedi tutti i fiori dagli aromi più penetranti, i garofani, i reseda, i gelsomini, le rose, le gardenie dai grandi