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ni, i deliranti conforti, che la religione riserbava agli spiriti fedeli nella tragica prova del mondo, dentro il quale la vita è così perigliosa e la morte tanto desolata. L’amore divino ricongiungeva prima o poi quelli, che la natura aveva diviso, permettendo nell’intimità della preghiera il riconoscimento soave della loro fraternità, o lasciando alla morte stessa la dolcezza di tale rivelazione.

Ma questo ardore si spense d’un tratto appena fece il primo movimento per alzarsi; raccolse il tricorno e rimase in piedi tremante dietro la tendina. Nulla era ancora accaduto. Avrebbe potuto restare nascosto in quel confessionale sino all’alba, dicendo il rosario per la morta, senza commettersi nè a rischi nè a peccati; poi uscirebbe non visto, appena il sacrestano riaprisse la porta. Nella chiesa tiepida non sentiva alcun freddo; certo il suo granaio era molto più indifeso, giacchè il vento vi fischiava da tutte le fessure, e in qualche punto i tegoli lasciavano stillare la neve sull’ammattonato a gocce lente, sonanti, uguali. Quante volte quelle gocce gli avevano tenuto compagnia?

Ma sporgendo solo il busto dalla tendina capiva che sarebbe andato sino in fondo. Un’ultima paura lo fece ricadere seduto; si vedeva già scoperto, arrestato, in una orribile scena di rimproveri: don Camillo, che accorreva contro di lui nel sonno senza capire perchè a quell’ora egli fosse lì presso la morta, e avesse voluto vederla. O era piuttosto un tentativo di furto? Questa domanda rintronava agli orecchi del ragazzo con un fracasso di torrente, enorme e diffuso. Poi l’indomani ricominciava il processo, i professori lo interrogavano a scuola fra lo stupore inorridito dei condiscepoli, finchè arrivava il vescovo col collare pavonazzo e la grande croce d’oro sul petto. Il suo volto butte-