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4 | «opera omnia» di alfredo oriani |
accorgeste subito, la prima volta, all’angolo del Pavaglione, allorchè, urtandovi quasi, io mi arrestai, sorpreso dalla strana espressione del vostro volto.
— Strana! — ella ripetè quasi irritata di non ricevere un complimento migliore.
— Oh! non siete bella, ecco la vostra superiorità. Se aveste le forme statuarie e il viso classico della contessa Ghigi, non vi avrei nemmeno guardata: la bellezza, che si può misurare al compasso, non serve più che negli esemplari d’accademia e pei romanzieri della vecchia scuola. Allora una modella dovrebbe essere la donna più adorata e più adorabile, mentre invece la si paga ad ore, e nessuno pensa a lei se non per paragonarla a qualche altra meno difettosa, perchè nella sua classe la vera bellezza è la statua.
— Conosco questa vostra teoria, l’avete già sviluppata nell’ultimo romanzo.
— Aspettate: ecco quello che non vi ho messo. Voi sorrideste all’urto, col quale vi respinsi quasi allo svoltar di quell’angolo: eravate vestita di una lana azzurra listata di bianco, cogli stivalini alti, un piccolo cappello da uomo, una bizzarria di acconciatura, che vi attirava tutti gli sguardi e che voi sola potevate arrischiare in provincia.
— Avete buona memoria.
— Io mi volsi, tornai indietro per seguirvi: non vi avevo ancora veduta. La vostra figurina snella mi ondulava dinanzi con passo quasi saltellato piegando appena la testa per ricevere un saluto fra la gente, che si rivolgeva a guardarvi, e che avevate quasi l’aria di allontanare colla graziosa alterigia del portamento. Mi erano rimasti impressi i vostri occhi: dovevano essere glauchi, di un verde-mare inesplicabile nella mobilità del