Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/116


l’esaltazione del primo proposito, quando fra il coro delle voci e il profumo di tutti i fiori, agitando l’incensiere dinanzi al feretro, egli solo aveva subitamente deciso di volere ancora una volta guardare la morta. In quel momento il feretro era sparito ai suoi occhi fra l’abbarbaglio delle torcie, nella confusione iridescente dei fiori, sui quali le nuvole degli incensi s’innalzavano pigramente in volute leggere come di nebbia.

La prestigiosa funzione era finita, ma quel proposito gli rimaneva fisso nel cervello come un chiodo, del quale sentiva la pressione rovente in mezzo alla fronte. Quindi era ancora lì, nella preparazione sonnambula di quel disegno inesplicabile e irresistibile, che lo faceva rabbrividire di un freddo angoscioso. I suoi occhi si tesero nell’ombra verso l’uscio socchiuso della sacrestia; l’ultimo gruppo di preti lo spalancò restando sulla soglia a parlottare, egli distinse dietro loro il sacrestano vestito di pavonazzo, colla canna dello spegnitoio nella mano; ma improvvisamente, quasi la poca luce di quell’uscio potesse arrivare sino al confessionale, provò una percossa nel petto, che lo fece indietreggiare col busto sotto la tendina. Il cappello gli cadde dentro al confessionale con sordo rimbombo, e allora colle mani già allungate per raccoglierlo, senza più riflettere, trepidante, cercò la panchina del dossale, e ritirò dentro i piedi a furia. Un gran fracasso doveva essersi prodotto, giacchè rimase cogli orecchi intronati, e gli parve d’intendere molte voci interrogarsi curiosamente. Rimase chiotto, senza battere palpebra, come nei terrori senza nome del sogno, quando la morte ci arresta subitanea. Il mantello gli si era ammassato dietro la schiena, impedendogli quasi di star seduto, mentre la tenda oscillando ancora batteva leggermente negli spi-