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ancora un’occhiata al feretro, la gente voltò il viso a guardarli, ma si erano nuovamente ricomposti con quella fisonomia grave ed insieme indifferente del clero nelle proprie funzioni. Alcune donnicciuole del popolo inginocchiate sui panconi dicevano il rosario a mezza voce girando curiosamente gli occhi sopra ognuno degli ultimi visitatori, quasi per rispondere con un battito di palpebre alla loro prima impressione di stupore, e riabbassavano devotamente il capo, mentre le corone balenanti nella incandescenza di tutte quelle torce battevano tratto tratto seccamente nel legno. Un bambino si mise a piangere.
Giannino non aveva osato accostarsi.
Benchè la chiesa fosse tiepida, si era stretto nel mantellone nascondendovi sotto il piccolo tricorno: la sua testa sparuta, bianca come di gesso, cogli occhi ardenti di febbre, spiccava così vivamente che alcuni si volsero a considerarlo. Egli si allontanò verso la porta, ma invece di uscire tornò indietro, dall’altra navata deserta, fermandosi ogni tanto nel buio dei larghi pilastri. Se qualcuno avesse potuto esaminarlo, sarebbe rimasto meravigliato alla espressione del suo viso. Una contrazione dolorosa glielo stirava sino alle orecchie; teneva la bocca più dischiusa del solito quasi nello sforzo di respirare, mentre gli occhi vitrei, immobili, bruciavano internamente di una fiamma bianca. Adagio, con una circospezione sospettosa, come se la piccola percossa delle sue scarpe di vacchetta gli rintronasse spasmodicamente nel cervello, trasaliva volgendosi indietro. Una idea fissa, tenace, gli aveva avvinghiato tutto lo spirito senza lasciargli fare alcun altro movimento: egli non la capiva ancora bene, ma sino dal principio della funzione la sua volontà vi era soggiaciuta. Quindi colla abilità, che svegliano certe