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darsi; qualche prete in abito nero passava per la chiesa, ogni tanto s’intendevano sussurri interrotti dal tonfo del pesante portello, dal quale la gente entrava od usciva; e nuovi gruppi si formavano intorno a quel recinto fiammeggiante come un incendio, sempre cogli stessi gesti di meraviglia e un qualche subitaneo riso indiscreto tra il fruscìo delle sottane, alle quali i bimbi condotti ad ammirare lo spettacolo si aggrappavano timidamente. Ma la chiesa alta e vasta rimaneva nullameno grave. L’ombra sempre più cupa sembrava tratto tratto oscillare; improvvisamente dei profili di cappella lucevano nella pulitezza del marmo, o qualche bagliore sprizzava dalle cime di una balaustra, mentre nella navata principale il grande crocifisso, stretto da una mano di legno, si protendeva minacciosamente nel vuoto, dal pulpito nero.

Egli rientrò nella chiesa dalla porticina della sacrestia, nella quale era andato a spogliare la cotta; altri due preti gli passarono davanti, chiacchierando ad alta voce del mortorio riuscito al di là di ogni previsione. Quasi tutti i preti della città vi avevano partecipato guadagnando uno scudo a testa; poi l’uffizio seguiterebbe ancora due giorni, e verrebbero la settima e la trigesima. Il lusso dei fiori e della cera era stato addirittura fantastico.

— È fortunato don Camillo... prima che ne càpiti più un altro!

— Chi lo sa?

— A me no certamente; nella mia parrocchia non vi è alcun signore di questa forza. La contessa Naldi ha potuto fare così perchè rimane vedova senza figli.

— Già.

A questa conclusione commercialmente giusta, Giannino trasalì; i due preti sfiancarono per dare