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calze in grossa lana nera. Così col mantellone dell’arciprete e lo stomaco pieno non aveva più freddo, ma in quella casa lo trovarono presto svogliato. Durante le ripetizioni, cui l’altro si prestava di mala voglia, frequenti distrazioni gli facevano spesso sbagliare i temi esponendolo alle berte dello scolaro contento di potersi a quel modo mostrare superiore in faccia ai propri parenti. Era una nuova tortura più aspra della fame; poi in quella famiglia il padre ateo e la madre villana non avviavano il figlio al sacerdozio che come ad un mestiere, calcolandone anticipatamente i guadagni senza un riguardo nè a se stessi nè a lui. I loro discorsi osceni lo facevano soffrire nelle fibre più delicate dell’anima; nullameno resistette per quella necessità di dovere pur mangiare, e soprattutto perchè le ripetizioni gli avevano fornito la scusa per ottenere dal padrone di casa la chiave della porta. La libertà gli parve immensa. Tutte le sere sulle dieci ripassava due o tre volte sotto il palazzo Naldi fermandosi a considerare lungamente quella finestra illuminata. La sua sottile ombra nera si disegnava sinistramente sulla bianchezza della neve; talvolta i passanti si voltavano meravigliati a considerarlo, e allora egli riprendeva il passo nascondendo il viso magro nell’alto bavero del mantellone, colto da un senso pauroso di vergogna al pensiero che qualcuno potesse parlarne col vescovo. Perchè un seminarista giovane come lui era ancora fuori ad ora così tarda?

Ma siccome all’angolo della casa di contro, prima di arrivare al palazzo, v’era una piccola Madonna di maiolica rischiarata da un lampione, tutte le sere si fermava devotamente a dirle tre Salve Regina per lei. Certamente quella neve avrebbe preso prima di sciogliersi la tenue fanciulla nella propria bianchezza per nasconderla agli occhi di