Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/103

pallida, più di lui, irremissibilmente ammalata. Una indefinibile dolcezza le spirava intorno come se non camminasse nemmeno, così sospesa al braccio della madre, una donna alta e bella, cogli occhi neri e un battito nelle palpebre, che tradiva la dolorosa fatica per reprimere una troppo lunga emozione.

Infatti quella passeggiata, a piedi, fuori dalla città, se vi ritornavano così lentamente, doveva essere per la madre la più orribile delle torture. Chi erano? Egli non le aveva mai vedute e non avrebbe saputo a chi chiederlo, ma il suo cuore si era aperto impetuosamente dinanzi all’aspetto moribondo di quella fanciulla. Nessun’altra bellezza di giovinetta o di angelo dipinto gli era mai sembrata più eterea: la sua esile ed alta figurina si disegnava appena sotto le vesti accanto al corpo così splendido e vigoroso della mamma, mentre in quell’ombra della sera le sue labbra violette lasciavano ancora vedere i denti bianchi.

Quando le ebbe oltrepassate si voltò, ed arrossì vivamente, vedendo che anche la fanciulla aveva girato la testa per guardargli dietro.

Che cosa pensava ella di lui? Aveva indovinato colla chiaroveggenza misteriosa degli infermi, pei quali la vita non è più che un velo, la sua profonda tristezza in quel momento, dopo aver accompagnato al cimitero il cadavere dell’unico amico? Aveva sentito che povero, abbandonato, infermo desiderava anche egli di morire? Senza rendersene conto, giacchè in questo caso gliene sarebbe mancato il coraggio, ritornò sui propri passi dietro di loro: camminava adagio attardandosi nello svellere qualche germoglio dalle siepi per mantenere la distanza; il suo sguardo si attaccava ad ogni passo di quell’effimera creatura con una inesprimibile emozione, ma non vedeva che il suo abito chiaro e tutto quell’oro sul-