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vide il ragazzo alzarsi quasi subito per fuggire dallo spasimo di quella emozione: il libro gli era caduto, lo raccolse vergognoso che avesse potuto sciuparsi davanti a lui, e vi soffiò sulle costole per cacciarne la polvere.
— Non studiare... — ammonì ancora, spegnendosi, la voce del vecchio professore.
Due giorni dopo Giannino verso le sette ritornava in città con la cotta bianca sotto il braccio, per una stradicciuola che dal cimitero passava presso il convento dei cappuccini, solo e triste dopo aver accompagnato il mortorio di don Riva. Anche il funerale era stato miserabile; avevano coperta la bara col panno sbiadito dei poveri, poi don Costantino l’aveva seguìta con altri quattro preti e poche beghine del vicinato: egli portava dinanzi la croce fra due monelli in cotta. Appena deposta la bara al cancello, don Costantino aveva mormorato in fretta le solite preghiere, e il piccolo corteo si era disperso.
In quel vespero luminoso di letizia, per la larga strada da porta Montanara al cimitero, passavano molti gruppi di persone e qualche carrozza; quindi egli sfiancò per quel viottolo fra gli orti e i due bracci del canale Naviglio. La sua anima tutta piena della morte provava una strana dolcezza nella contraddizione di quel crepuscolo estivo, vibrante di sussurri e di profumi, mentre nel cielo limpido e tremulo grandi nuvole rosse sembravano isole in fiamme. Dagli orti densi di verzura e lungamente inaffiati veniva un sito terroso. Egli camminava a testa bassa rivedendo ancora nel pensiero gli ultimi istanti del morto: dov’era egli adesso?
La terra, che gettavano forse in quell’istante sulla sua cassa era tutto il premio de’ suoi giorni tribolati quaggiù, mentre il suo spirito salito sino