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a cacciargli le mosche dal volto: anche Giannino si era appressato. Dopo qualche minuto l’altro lo riconobbe, poi chiese che gli raddrizzassero i cuscini sudici sotto la schiena, e parve star meglio.
— Ero venuto... — cominciò Giannino cercando di dare alla propria voce una intonazione disinvolta per dissimulare il proprio terrore, — ho qui il libro da renderle.
— Tienilo... è il legato che ti faccio — e ricadde nuovamente in quella specie di torpore.
Ma questa volta vi durò qualche ora. Giannino e la sorella non parlavano, quegli per sfuggire all’angoscia di tale tensione aveva preso dal comodino uno dei libri, L’uomo sotto la legge del soprannaturale, del cardinale Alimonda.
Si era fatto tardi; il medico, un signore vicino, non veniva che prima di mezzogiorno o assai tardi la notte rincasando, ma aveva dichiarato che forse la cosa durerebbe ancora qualche giorno. Don Costantino occupatissimo per la festa di San Saverio, nella quale la sua chiesa avrebbe sfoggiato un ricco addobbo, era tornato sulle due dopo pranzo, e rassicurato da quella frase del medico non verrebbe più nella notte senza una chiamata. Giannino ne parlò sommessamente colla sorella, che gli rispose con quella rassegnazione ormai vicina all’indifferenza, nell’impossibilità di qualunque speranza.
— È tardi? — domandò improvvisamente l’infermo agitando la testa, mentre il ragazzo stava per ritirarsi inosservato.
— Sì, bisogna ch’io vada: sono le otto e mezzo.
L’altro gli tese la mano con uno sforzo così spossato che Giannino cadde in ginocchio per baciarla.
Un’ultima luce si accese nei grandi occhi vitrei dell’agonizzante; la sorella seduta alla finestra