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— Ora sono sicuro; nessuno può salvarlo. Tu, Andrea Petrovich, non avresti potuto scrivere per lui questa marcia funebre se non fossi stato certo della sua morte.

— Potremo almeno accendere il lume, osservò Kepskj.

— Tant’è andarcene tutti, tornò a dire Lemm, che non si era mosso dalla scrivania: Olga Petrovna non verrà.

— Attendetemi, ribattè Ogareff con impazienza; e così al buio, afferrata la pelliccia dal divano, uscì sbattendo duramente l’uscio.

— Bella congiura che facciamo qui! mormorò Stolkin, che non aveva ancora parlato: se capitasse la polizia, sarei curioso di sapere che cosa risponderemmo. La scusa della tua opera, Andrea Petrovich, mi pare magra assai; anzitutto, nemmeno hai cominciato a scriverla.

Un silenzio si appesantì sulla stanza. Lemm dalla finestra spiava nella strada, per la quale passavano frettolosamente poche ombre; i fanali non v’erano ancora accesi. Andrea Petrovich era andato nella cucina per ordinare al servo di portare un grosso lume a petrolio: quando questi entrò, Lemm chiuse nervosamente gli scuri della finestra. Allora tutti si guardarono. Il tavolo troppo bagnato di vino e d’acquavite, nel calore della stanza, esalava un acre odore di bettola; le pelliccie erano gettate sui divani e sulle sedie con poca cura: la cassa del violino di Kepskj, nera,