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Diventati amici a scuola e costretti a vivere separati dalle diversità delle loro condizioni, non si riunivano che rade volte con molte precauzioni in casa di Andrea Petrovich per concertare qualche pezzo della sua Opera su Boris Godunof, o dal conte Ogareff al primo piano del suo magnifico palazzo sulla prospettiva Newsky.

— Chi porterà questa risposta? tornò a domandare Lemm.

— Olga Petrovna.

— Naturalmente non verrà, osservò Lemm, che aveva per le donne un disprezzo anche più violento che per l’arte.

L’altro invece di rispondere andò a gittarsi sul divano.

— Io dormo.

Si fece silenzio: la camera era diventata quasi buia.

Allora Andrea Petrovich cominciò a suonare. Alle prime battute un brivido corse per la stanza, nella quale solo la luce rossastra della stufa si agitava a quando a quando sinistramente. Andrea Petrovich stava colla testa curva sulla tastiera, volgendo le spalle a tutti, immobile nell’ombra. Poi un’eco lontana di tamburi parve scandire la marcia funebre di Rodion guidato al patibolo da un battaglione di fanteria. Si sentiva il passo dei soldati battere in cadenza sulla neve col rullo scordato dei tamburi, mentre dalle campane delle chiese cadevano rintocchi d’agonia per l’aria fredda del