l’avvertisse. Quell’odiosa brutalità di servi schiamazzanti alla
porta di un teatro, consentito solo ai padroni, non irritava più il suo
sdegno di rivoluzionario; la sua anima era già entrata in quella sala
cercandovi il principe. Dov’era? In qual palco? Presso l’imperatore? Fra
un gruppo di signori? O solitario ad un balcone, colle braccia
incrociate, guardava sorridendo sinistramente tutti quei morituri, che
ad un suo cenno sarebbero morti? Lemm se lo immaginava così. Come doveva
sentirsi grande! Nessun uomo si era forse mai trovato così
improvvisamente più alto di una folla, nemmeno sopra un campo di
battaglia. Perchè il principe aveva voluto ciò? Che cosa doveva aver
sofferto per odiare così il proprio mondo? Lemm non lo sapeva, ma fra
quella moltitudine, che lo soffocava scuotendolo con tutti i propri
fremiti, fra l’abbarbaglio di quelle fiamme, dinanzi a quella visione
immaginaria, era preso dalle vertigini dell’abisso. Avrebbe potuto
urlare a tutti il proprio segreto spaventevole senza che nessuno lo
credesse; lo avrebbero giudicato un pazzo. Era dunque fatale. Egli
vedeva sempre il principe, ritto colla faccia gialla di malato
terribilmente immobile, girare uno sguardo su tutti quegli invitati
contandoli; quanti erano? Ma, e tutti gli altri stipati nella piazza,
che sarebbero periti nell’esplosione? A questi forse il principe non
pensava, mentre Lemm se ne sentiva addosso il numero pesante,
brulicante. Egli non poteva col pensiero