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scente saliva, allargandosi per l’aria col fumo vorticoso delle cataste. E il teatro, più bianco fra l’incandescenza di quelle fiamme, splendeva da tutte le pareti, sulle quali vasti bagliori correvano come sopra una superficie di acqua.

Loris chiamò Olga e Lemm, ordinando a quella di mettersi alla finestra per osservare attentamente se qualche figura sospetta entrasse nella casa, e a questo di postarsi alla porta del teatro attendendo il principe.

Egli voleva restar solo.

Lo spettacolo era già incominciato, quando Lemm lavorando accanitamente di gomiti, potè mettersi in prima fila dinanzi al portico massiccio della facciata. Sul frontone i quattro cavalli bianchi del carro d’Apollo, immobili, con una gamba levata, parevano sorpresi dal ghiaccio; la neve aveva formato come un casco sulle loro teste. L’atrio del teatro aveva un fulgore acciecante di fornace, entro la quale seguitavano ad ingolfarsi gli invitati chiusi nelle ricche pelliccie; le gonne rialzate delle signore lasciavano talvolta vedere i loro stivalini da ballo.

Lemm soffocava dietro il cavallo di un dragone, che ratteneva la gente a leggere piattonate sul petto. Aveva, i piedi ghiacciati e la testa in fiamme. La folla intorno a lui gridava, pestandosi nello sforzo impossibile di rompere la linea dei dragoni, per la curiosità di contemplare più da vicino l’altra folla degli invitati, senza che egli quasi