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rosi cavalli neri: l’alito delle loro bocche saliva nell’aria come un fumo; una forma bianca si era piegata un istante agli sportelli per guardare il bel giovane, che fumava una sigaretta dondolandosi elegantemente sugli stivali. Poi altre carrette, due drowski seguirono; una slitta scivolò agitando nell’aria la propria campana, coi cavalli come spaventati.
La sera non era lontana.
Quell’attesa cominciava ad irritare il bel giovane: sul suo viso, che avrebbe voluto mantenersi calmo, passavano a volta a volta impazienze quasi di paura. Tornò nell’atrio, s’accostò al casotto della portineria, spiò: nessuno! Cinque o sei inquilini lo salutarono rispettosamente nell’uscire cercando non senza meraviglia il dwornik cogli occhi: alcuni altri non furono meno sorpresi di non scorgerlo rientrando.
Finalmente, al secondo piano, un accordo più vigoroso parve preludere a un pezzo d’opera; egli uscì, tornò a passeggiare sulla strada fermandosi sotto le finestre; guardò il proprio grosso orologio d’oro a remontoir.
Quando Giacomo spuntò all’angolo con due grandi fagotti, uno nella mano e l’altro sotto il braccio sinistro, il conte gli andò incontro.
— Per San Sergio, quanto hai tardato! Peccato che non sia passata una guardia per farti la contravvenzione; io stesso l’avrei firmata.
— Vostra Alta Nobiltà avrebbe pagato per me,