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ad una steppa, per vivere sola con lui, sposata da lui, allevando due bambini, un maschio e una femmina. L’esplosione della mina non avverrebbe, essa non sapeva come, ma non avverrebbe; Loris guarirebbe anche lui da quella febbre nichilista per riconciliarsi colla vita, quale Dio l’aveva voluta. L’ateismo materialista di Olga era già scrollato. Qualche cosa di divino si agitava nel mistero oltre l’origine e il fine della nostra esistenza; una legge arcana regolava l’umanità, un’idea imperscrutabile comandava alla natura. Il volgare culto delle iconi, nelle quali il popolo trovava intercessori, non era che un tentativo dell’anima, come la scienza stessa, per arrivare sino a Dio.

Talvolta Olga non si riconosceva. Provava subite tenerezze per la mamma lontana, quasi un bisogno ineffabile di perdonarle quanto le aveva fatto soffrire, mentre una vergogna le veniva da quel libertinaggio passato, nel quale aveva calpestato tutti i riguardi. Era impossibile che Loris, malgrado l’affettazione della propria insensibilità, non sentisse ripugnanza per lei trascorsa attraverso gli amori di tanti studenti. Quindi rimpiangeva la delicata primizie della propria gioventù, quella poesia senza nome, che riluce intorno alla vergine e la fa sembrare come una stella, nella quale nessuno abbia ancora posto il piede. Perchè Loris non amava? Era sublime disperazione di nichilista, o nausea di poeta dinanzi alle bestialità della umana lussuria? Il pentimento, questa glo-