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evitavano, Loris invece pareva più calmo, come se la fortuna del primo tentativo avesse esaltato in lui la superstizione fatalista, comune a tutti gli uomini d’azione. Si sentiva sicuro che la prima neve cadrebbe di notte. Infatti, tre giorni dopo, l’azzurro del cielo s’imbiancò, e il freddo diminuì sensibilmente; erano i primi sintomi. A tarda sera la neve, aggirata da un vento impetuoso, cominciò a cadere sui tetti e sulle strade come una polvere.

Loris era pronto. Quando uscì di casa, suonarono le dieci e mezzo. La piazza sotto la bufera era vuota, pochi fiaccheri stazionavano presso il Piccolo Teatro, all’angolo del Kitaisky. Lemm lo attendeva; con un colpo di martello acuminato e infisso sopra un bastone doveva rompere la doccia della loro casa a fior di terra, poi ritornando e fingendo di scivolare avrebbe estratto rapidamente il capo del filo per stenderlo lungo il muro. A Loris invece l’impresa era più rischiosa per la maggiore lunghezza necessaria del tempo e la sorveglianza dei gendarmi intorno al teatro. Un colpo di martello in una delle sue doccie avrebbe certamente attirato la loro attenzione, mentre per cavarne tutto quel filo sarebbero stati indispensabili almeno dieci minuti. Loris si era quindi coperto di un lungo impermeabile bianco da cocchiere; contava scivolare inavvertito lungo il muro, e sdraiarsi fra la neve accanto alla doccia per forarla col trapano.