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meglio di una tigre finchè attacca l’altrui vita o difende la propria; ma uscire dall’umanità per deviarne con un concetto personale la storia, precipitando di un secolo la rivoluzione, ecco il vero coraggio.

Girava sempre.

Salì per tutte le scale dei cinque ordini, tornò alle sale spiando dalle finestre socchiuse nella piazza. Quanta gente! Il rumore delle carrozze gli arrivava lassù, fra quella sensazione di silenzio, come un murmure sotterraneo; poi tornò a guardare nel teatro, non potendo sottrarsi al fascino della sua ombra.

D’un tratto s’accorse di aver fame; gli cominciava un freddo allo stomaco, simile a quello della paura. Sicuro di non poter mangiare, si mise in traccia d’acqua, ma non ne trovò. Solo nella latrina colava in modo, che non si poteva raccogliere. Tornò nel palco. Olga, sempre sdraiata cogli occhi rivolti al muro, non si volse nemmeno udendolo entrare. Egli la chiamò.

— Avete fame? Ho girato tutto il teatro, impossibile bere.

Loris sedette sul divano. L’attesa ricominciò lunga, schiacciante. Nel teatro, appena visibile, le ore non passavano più; il grande orologio dorato, sulla cima del palcoscenico, si era arrestato; nessun moto rompeva la vacua immobilità dell’ambiente. Loris aveva finito per sdraiarsi sul divano come Olga, guardando nel vuoto. Si sarebbero