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piede del divano. Loris fece colle pinze la congiuntura.
Non restava più che spolverare il tappeto della sala, presso il buco, e tappare questo col mastice; era d’uopo attendere il giorno.
Ora potevano dormire. Loris si strinse nella pelliccia, sdraiandosi sopra un divano. Era ancora tutto madido di sudore. Rialzò il bavero, si raggomitolò per ritirare i piedi dentro la pelliccia e, dopo essersi rivoltato due o tre volte per cercare la positura più comoda:
— Dormiamo, disse ad Olga.
Ma egli stesso stentò ad addormentarsi. Una gioia gli agitava l’anima, in quella prima calma, dopo l’immane opera compita. Si sentiva sublime ed orribile. La sua ragione, anchilosatasi nel sistema rivoluzionario entro al quale viveva da tanti anni, non vedeva più in quell’eccidio che una combinazione di guerra. Egli, generale incognito, v’era bastato da solo. Annibale sulle Alpi cercando coll’occhio Roma lontana, Moltke rileggendo nel silenzio del proprio gabinetto il disegno della guerra contro il secondo impero napoleonico, dovevano aver provato la sua stessa emozione di quel momento; almeno egli lo pensava. Quindi un fluttuare d’immagini gli intorbidò la mente fra un rombo di scoppio, che lanciava per aria quel teatro, mentre tutta la città urlava di paura, e per la Russia, oltre la Russia, tutti i popoli sollevati dall’enorme notizia domandavano chi fosse