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mezzanotte spunta il sole. Tu amico mio, Michele Ossinskj, che sogni la gloria del Michelangelo italiano, dovresti farle la statuina.
— Se l’ho pensato! questi si rivolge guardando il portinaio con un sorriso: ma la bellezza di Catia è ancora un mistero così per voi, Giacomo Martinovitch, che l’adorate, come per noi che la ammiriamo in silenzio; forse solamente l’angoscia della prima sera, quando canterà davanti al padre nostro, lo Czar, potrà rivelare coll’invisibile bulino della passione il rilievo della sua maschera.
— Maschera?! interruppe il dwornik fra meravigliato ed offeso.
— Maschera, intervenne il conte Ogareff gittandosi dietro un’occhiata ai due suonatori, che avanzavano negligentemente, è una parola di studio. Gli scultori chiamano così l’impronta della fisonomia che ottengono col gesso.
— Ah!
— Per ora, seguitò lo scultore accarezzando il portinaio coll’accento della sua pronunzia di Piccolo Russo, dolce come il provenzale, non ho osato disegnare che il costume di vostra nipote per l’opera. Ho dovuto faticare, sapete, mio caro, proseguì prendendolo famigliarmente per un bottone dell’abito; tutte le opere di Kostomarof e di Solovief non mi hanno bastato: lo studio delle sante iconi di Roublef, il nostro grande pittore, aggiunse ammiccando degli occhi perchè il dwornik era un settario del Raskol e facendogli colle