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al proprio soldato d’ubbriacarsi alla bettola, passava la maggior parte del tempo con lei, quasi senza parlare, finchè Matrona non lo costringesse a scappare per l’armadio. Il suo umore sembrava peggiorare tutti i giorni: era scontento di sè, di Olga, di tutti; ammirava meno Loris, dacchè questi non gli appariva più nella calma della prima superiorità, si affaticava quindi contro di lui in sofisticherie sulla tecnica di quella mina. Qualche cosa la farebbe senza dubbio scoprire prima: allora bisognerebbe suicidarsi.

L’indomani stesso Loris ricevette una lettera del principe, che gli annunziava il proprio arrivo per la sera seguente. Il principe giunse sull’imbrunire alla barriera Miouskaia, in una droiska elegante, tirata da tre eccellenti trottatori: guidava un grosso cocchiere in livrea da campagna. Il principe, vestito da caccia, aveva due fucili chiusi negli astucci, un cane seter ai piedi, nerofuocato, e una piccola valigia di cuoio, robustissima, accanto sul cuscino. Il cocchiere gridò il nome del padrone alla guardia daziaria, che salutò rispettosamente: un sergente di polizia si avanzò nullameno, ma il principe, mostrando le armi e la valigia, gli disse semplicemente:

— Cartuccie da caccia.

Il sergente salutò come la guardia: il principe gettò loro un biglietto da cinque rubli.

Ma, scorgendo Loris poco dopo entro un fiac-