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di martello acuminato, passando lungo il muro del teatro, ove la doccia scendeva semiscoperta sino a terra, bucarla; chinarsi rapidamente fingendo magari di scivolare, con un piccolo gancio estrarre il filo, e stenderlo sulla neve sino alla doccia della loro finestra. Un secondo filo scenderebbe da questa doccia forata dall’interno all’altezza del balcone; bisognerebbe bucarla ancora dietro terra, cavarne il filo e congiungerlo coll’altro. Questa era la parte più delicata e terribile dell’operazione. Il filo conduttore, sottile, malleabile e bianco come la neve, sarebbe presto ricoperto da questa così che nessuno lo scoprirebbe più nell’inverno giacchè a Mosca la neve non si spazza mai nelle strade, sulle quali forma un altissimo strato di grossa sabbia candida, presto insudiciata di ogni colore.
Ma le guardie vegliavano sempre nella piazza del teatro, anche di notte. Loris aveva già studiati i loro giri e scelta la doccia: calcolava di non poter avere più di dieci minuti per forarla e stendere il filo; tutto al più si potrebbe con qualche strattagemma attirare le guardie un po’ più lungi, e raddoppiare il tempo utile. Egli, Olga e Lemm, basterebbero ad introdurre nel teatro i trenta chilogrammi, i centotrentacinque metri di filo, e il trapano necessario a forare il muro. Olga si avvolgerebbe il filo intorno al corpo sotto le sottane, e nasconderebbe il trapano smontato nel manicotto: essi, uscendo e rientrando negli intermezzi,