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un magico appello sarebbero bastati a rovesciare l’impero. Olga era un’anima assetata di amore, una popolana tratta da una eguale superbia plebea all’università, e che i dolori di una vita anormale avevano cacciato nell’orbita tragica della rivoluzione. La sua ragione, già squilibrata dalle tempeste della esistenza domestica, era stata travolta alle più terribili negazioni della critica demolitrice delle scuole ribelli, mentre i sentimenti le erano rimasti puri nel fondo del cuore. Credeva di odiare i ricchi, e invece non amava che i poveri; invocava l’esterminio dei potenti, che facevano soffrire, e appena li vedesse schiacciati sotto una rivolta dei deboli, chiederebbe forse la loro grazia. Loris si sapeva troppo adorato da lei per dubitare di poterla sempre dominare.
Finalmente si sentiva preso nell’opera propria. La stanchezza della lunga preparazione era scomparsa: solamente ora gli pareva di comprendere la nullaggine degli studi, nei quali aveva passato tanti anni che ne provava ancora la nausea nell’anima. A che studiare? La vita è opera; prima e dopo l’opera, il pensiero non è che sogno. Un uomo poteva contrapporsi anche solo ad un impero, deviandone la storia: ma nè Mosca, nè il resto della Russia sapevano ancora ciò che egli preparava loro.
Questa esplosione della fantasia gl’impedì per lunghe ore di addormentarsi. A un certo punto dovette scendere di letto per mettersi alla finestra,